lunedì 20 agosto 2007

La cornucopia Italiana

Fare il ragioniere alla Camera è affare certamente impegnativo. E non a caso ci vuole una laurea triennale per accedere al rango. Dall'alto di questa mansione si istruiscono le pratiche per i rimborsi elettorali dei partiti, si preparano le buste paga dei parlamentari, si cura l'amministrazione di Montecitorio. Giusto che si riceva uno stipendio adeguato alle responsabilità del mestiere. Ma fare il presidente della Repubblica, ça va sans dire, è certamente compito più delicato e importante per le sorti del Paese. E il trattamento economico, soprattutto in tempi nei quali si predica tanto la meritocrazia, dovrebbe tenerne conto. Cosa dicono invece le buste paga degli interessati? Che con i suoi 237 mila 560 euro lordi annui (rivalutati ogni 12 mesi) maturati dopo 35 anni di servizio, il ragioniere di Montecitorio guadagna quasi 20 mila euro in più del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il cui appannaggio, congelato ai valore del 1999 per le difficoltà dei conti pubblici, è fermo a 218 mila euro lordi l'anno. E come non restare ammirati di fronte agli stenografi del Senato? Sono 60 in tutto e compilano i resoconti dei lavori dell'aula e delle varie commissioni. Svolgono un lavoro ormai in estinzione per via delle nuove tecnologie, ma all'apice della carriera arrivano a guadagnare 253 mila 700 euro lordi l'anno. Molto di più non solo del presidente Napolitano, ma anche del capo del governo Romano Prodi che, tra indennità parlamentare (145 mila 626 euro), stipendio da premier (54 mila 710) e indennità di funzione (11 mila 622), arriva a 212 mila euro lordi l'anno. E di ministri titolati come Massimo D'Alema (Esteri), che riscuote 189 mila 847 euro, e Tommaso Padoa-Schioppa (Economia), che ogni anno incassa 203 mila 394 euro lordi (è la paga dei ministri non parlamentari). Tutti abbondantemente distanziati dallo stenografo e dal ragioniere e addirittura umiliati al cospetto dei compensi dei segretari generali di Senato e Camera, Antonio Malaschini e Ugo Zampetti, che a fine anno arriveranno a incassare rispettivamente 485 mila e 483 mila euro lordi.


Ecco le sorprese che spuntano esaminando i dati sul trattamento economico dei dipendenti di Camera e Senato. E non sono le sole: barbieri ('operatori tecnici') che possono arrivare a guadagnare oltre 133 mila euro lordi l'anno a fronte dei circa 98 mila di un magistrato d'appello con 13 anni di anzianità. E collaboratori tecnici operai che dall'alto dei loro 152 mila euro se la ridono dei professori universitari ordinari a tempo pieno inchiodati, dopo vari anni di carriera, a circa 80 mila euro lordi l'anno. Retribuzioni da favola, insomma, che non hanno uguali nell'universo del pubblico impiego e che si accompagnano a trattamenti pensionistici di assoluto favore perfettamente allineati, in tema di privilegi, ai criticatissimi vitalizi di deputati e senatori. Ma quanti sono questi fortunati dipendenti parlamentari? Quanto guadagnano esattamente? E attraverso quali meccanismi riescono ad ottenere trattamenti economici così favorevoli?

Stipendi d'oro I dipendenti di Camera e Senato (vengono assunti solo per concorso) sono in tutto 2.908, di cui 1.850 a Montecitorio e 1.058 a Palazzo Madama. I primi (dati dei bilanci 2006) costano complessivamente circa 370 milioni di euro, i secondi 198; molto di più di deputati (287) e senatori (133 milioni). Per ambedue i rami del Parlamento le voci che pesano di più nei capitoli di spesa per il personale sono gli stipendi e le pensioni. Per quanto riguarda le retribuzioni, la Camera sborsa ogni anno 210 milioni di euro a fronte dei 130 milioni del Senato. I costi delle pensioni assorbono invece 158 milioni nel bilancio di Montecitorio e 70 milioni a Palazzo Madama. La prima cosa che salta agli occhi, sia alla Camera che al Senato, sono le singolari regole di calcolo di stipendi e pensioni, regole tanto sorprendenti da trasformare i due palazzi in autentiche isole del privilegio. A fissarle, godendo le due strutture dell'autonomia amministrativa garantita agli organi costituzionali, sono stati in passato i due uffici di presidenza di Camera e Senato, composti dai rispettivi presidenti (i predecessori di Fausto Bertinotti e Franco Marini), i loro vice e tre parlamentari-questori.

Per quanto riguarda Montecitorio, i dipendenti sono distribuiti in sei categorie retributive. Da cosa sono costitute esattamente le retribuzioni? Dallo stipendio tabellare (paga base); dalla indennità integrativa speciale (la vecchia contingenza, bloccata al 1996) e da altre voci come gli assegni di anzianità che vengono elargiti nella misura del 10 per cento della paga tabellare al diciassettesimo e al ventitreesimo anno di servizio. Tutte voci che, insieme a una strana "indennità pensionabile, pari al 2,5 per cento delle competenze lorde annue dell'anno precedente", contribuiscono a dare uno straordinaro slancio agli stipendi.

Due commessi sistemano il microfono a
Fausto BertinottiChe hanno altre caratteristiche singolari: sono onnicomprensivi (sommano straordinari e lavoro notturno) e vengono pagati per 15 mensilità. Con un riconoscimento aggiuntivo per alcuni incarichi: al segretario generale e ai suoi vice, ai capi ufficio e a tutti coloro che hanno responsabilità di coordinamento, spetta anche un'indennità di funzione (tabella a pag. 51) che varia dagli oltre 46 mila euro lordi l'anno (pari a un netto di 2.206 al mese per 12 mensilità) spettanti al segretario generale Zampetti, ai 7.300 (346 euro netti al mese) assegnati al vice assistente superiore. Di assoluto favore anche le norme che regolano la progressione retributiva all'interno di ciascun fascia, scandita da scatti biennali che variano tra il 2,5 e il 5 per cento. Ma soprattutto dai balzi economici connessi ai passaggi di livello, riconosciuti dopo il superamento di periodiche verifiche di professionalità.

Per quanto riguarda le fasce retributive della Camera (tabella in alto), la prima è costituita dagli operatori tecnici. Ne fanno parte gli addetti alle officine, gli operai, i barbieri, gli autisti e gli inservienti della buvette. Costoro entrano nei ruoli con uno stipendio lordo annuo iniziale di 32 mila 483 euro per arrivare a riscuotere, con 35 anni di servizio, la bellezza di 133 mila 375 euro (pari a 8.675 euro lordi al mese). Davvero ragguardevole se si considera che le loro mansioni sono esclusivamente manuali. Nella seconda categoria sono inquadrati invece gli assistenti, i famosi commessi in divisa e gli addetti alla vigilanza, che iniziano con una paga annuale di 36 mila 876 euro e concludono la carriera con lo stesso stipendio degli operatori tecnici. Il terzo gradino retributivo è rappresentato dai collaboratori tecnici, il gotha del proletariato parlamentare: vi sono compresi gli ex operai che hanno spuntato una qualifica superiore per il fatto di svolgere mansioni più complesse, come quelle relative "alla gestione degli impianti di riscaldamento e condizionamento" del Palazzo: questa aristocrazia operaia inizia con uno stipendio lordo annuo di 32 mila 753 euro e corona la carriera con 152 mila 790 euro (al mese, 9.937 euro lordi). Più su nella scala ci sono i segretari che supportano il lavoro dei funzionari negli uffici e nelle commissioni: ricevono un compenso di oltre 37 mila euro l'anno all'ingresso e se ne vanno dopo 35 anni con oltre 156 mila euro lordi (10.164 euro mensili). Un tetto retributivo d'eccellenza, ma pur sempre modesto se si guarda a quello che avviene nei piani alti della nomenklatura di Montecitorio.

Spulciando il trattamento della fascia superiore, cioè dei dipendenti del cosidetto IV livello, quello dei documentaristi, tecnici e ragionieri (le loro mansioni prevedono"l'istruttoria di elaborati documentali e contabili e attività di ricerca"), ci si imbatte in un balzo prodigioso delle retribuzioni: entrano alla Camera con una paga di 41 mila 432 euro l'anno per andarsene, dopo 35 anni, con 237 mila 560 euro (15.451 euro mensili lordi). Che sono tanti, ma che impallidiscono a fronte dei compensi dei consiglieri parlamentari, il gradino più alto dell'ordinamento del personale di Montecitorio. Sono tutti laureati, svolgono funzioni di organizzazione e direzione amministrativa, oltre che di supporto giuridico-legale agli organi della Camera e ai suoi componenti. Vero che sono sottoposti a due verifiche di professionalità dopo tre e nove anni di servizio (devono tra l'altro "predisporre un eleborato relativo a temi attinenti all'esperienza professionale maturata"), ma i loro stipendi sono di assoluto riguardo: iniziano con una retribuzione annuale di oltre 68 mila euro lordi per toccare, con il massimo dell'anzianità, 356 mila 788 euro, pari a 23.206 euro lordi al mese.

E al Senato? Qui si trattano ancora meglio. Nessuno riesce a spiegarne il motivo, ma le paghe di Palazzo Madama (tabella a pag. 49), per funzioni più o meno analoghe a quelle del personale della Camera, sono da sempre più alte. Pressoché identiche le voci della retribuzione (stipendio tabellare, indennità integrativa speciale, eccetera), unica differenza è lo sviluppo su 36 anni della carriera invece che sui 35 di Montecitorio. Dopodiché è il solito assalto al cielo delle retribuzioni: gli assistenti parlamentari (svolgono mansioni di vigilanza, tecniche e manuali) arrivano a riscuotere oltre 141 mila euro lordi l'anno (pari a 5.222 euro netti mensili); icoadiutori (mansioni di segreteria e archivistica) 170 mila, per uno stipendio netto di 6.194 euro; i segretari parlamentari (istruiscono "eleaborati documentali, tecnici e contabilili che richiedono attività di ricerca e progettazione") superano i 227 mila (8.120 euro netti mensili); gli stenografi (resocontano le sedute e le riunioni degli organi del Senato) saltano a quasi 254 mila (al mese, 9.018 euro netti); mentre i consiglieri possono arrivare a riscuotere a fine carriera la stratosferica cifra di 368 mila euro lordi l'anno (per un mensile netto di 12.871), oltre 12 mila euro in più dei loro pari grado della Camera.

Una commessa parlamentare
porta l'urna per le votazioni in aulaI baby nababbi
A retribuzioni tanto ricche non potevano non corrispondere trattamenti pensionistici altrettanto privilegiati. Ma quale riforma Dini, ma quale scalone di Maroni, ma quale innalzamento a 58 anni dell'età pensionabile come predica Prodi. I dipendenti di Camera e Senato non hanno mai temuto tagli per i loro trattamenti. A Montecitorio e Palazzo Madama continuano a prosperare le pensioni-baby soppresse per tutti gli altri dipendenti pubblici: si lascia il lavoro anche a 50 anni e con modalità di calcolo dell'assegno straordinariamente vantaggiose.

Cominciamo dalla Camera. Qui, per la pensione di vecchiaia, a partire dal 2000 l'età necessaria è stata progressivamente elevata a 65 anni allineandola a quella richiesta a tutti gli altri lavoratori. Per quanto riguarda invece le pensioni di anzianità dei dipendenti in servizio fino al gennaio 2001 (per quelli arrivati dopo si sta discutendo un diverso inquadramento), la situazione si fa più favorevole: è vero che si richiedono 35 anni di contribuzione e 57 anni di età come per gli altri lavoratori dipendenti, ma aggrappandosi alle pieghe del regolamento si può andare a riposo ben prima (dal 1992 a oggi l'età media di pensionamento per anzianità è di 52,9). Avendo prestato almeno20 anni di servizio effettivo (il cosidetto scalpettìo), basta pagare una modesta penalizzazione pari al 2 per cento (il cosidetto décalage) per ogni anno mancante ai 57 e il gioco è fatto. Tenendo conto che nel calcolo della contribuzione vanno considerati anche i riscatti universitari, quelli per il servizio militare e soprattutto i due bienni contributivi generosamente concessi ai dipendenti in occasione dell'anniversario dell'Unità d'Italia e della presa di Porta Pia (dichiarati validi l'ultima volta nel '92 per i dipendenti in servizio dall'allora presidente della Camera Nilde Iotti) ecco che è possibile riscuotere la pensione anche a 50 anni . E con criteri di conteggio di sfacciato favore.

Al posto del sistema contributivo (pensione commisurata ai contributi effettivamente versati) introdotto a partire dal 1995 per il resto dell'universo lavorativo, alla Camera vige ancora un sistema rigorosamente retributivo: pensione commisurata all'ultimo stipendio riscosso. In quale percentuale? Sicuramente il 90 per cento delle competenze tabellari (gli altri lavoratori pubblici si devono accontentare di circa l'80 per cento). Con una ulteriore, graziosa concessione: la cosidetta clausola d'oro che, sebbene eliminata per i miglioramenti relativi allo stato giuridico del personale in carica, aggancia ancora le pensioni degli ex dipendenti agli altri adeguamenti spettanti ai pari grado in servizio.

Ancora più generoso il trattamento di quiescienza riservato ai dipendenti del Senato. A costoro, per andare in pensione, basta raggiungere un parametro denominato quota 109, dietro il quale non si nascondono certo difficoltose asperità, ma piuttosto facilitazioni tanto comode quanto ingiustificate. Cos'è esattamente questa quota? La somma dell'età anagrafica, degli anni di servizio effettivamente svolto, dell'anzianità contributiva che, anche a Palazzo Madama, comprende gli anni riscattati per la laurea, il servizio militare e due bienni figurativi elargiti in passato da vari presidenti del Senato. È proprio applicando questi criteri chequalsiasi dipendente di 53 anni (l'età minima fissata) può chiedere e ottenere l'agognata pensione. Per scalare la fatidica quota 109 gli è sufficente sommare al requisito dell'età 25 anni di servizio effettivo e 31 di contribuzione, facilmente raggiungibili grazie ai riscatti e ai bienni figurativi (non a caso a Palazzo Madama l'età media dei pensionati per anzianità dal '92 a oggi è di 54,8). Ma non è finita: utilizzando la contribuzione figurativa (tra riscatti e bienni, nove anni in tutto), quello stesso dipendente può ottenere la pensione anche a 50 anni con una irrisoria penalizzazione: l'1,5 per cento di riduzione del trattamento complessivo per ognuno dei tre anni mancanti ai 53. Ma nessuna paura: la riduzione non si applica nel caso in cui si possa contare su una anzianità superiore ai 35 anni. Con la solita, importante garanzia per il futuro: la sicurezza di non vedere mai svalutato l'agognato assegno come il resto dei lavoratori dipendenti. Anche al Senato infatti la clausola d'oro manifesta ancora i suoi magici effetti e, nonostante alcune limitazioni introdotte negli ultimi anni, adegua automaticamente le pensioni agli stipendi dei parigrado in servizio.

Primo Di Nicola
Da: espresso.repubblica.it

sabato 18 agosto 2007

La pacchia è finita

Allora facciamo un po' di conti: la Banca Centrale Europea ha sganciato più di centoventi miliardi di euro per sostenere le banche europee che hanno speculato sulla bolla edilizia e dei facili prestiti americani. La Federal Reserve ha tirato fuori assai meno per sostenere i truffatori d'oltre Oceano, cioè 12 miliardi di dollari, più 25, totale 37. Li chiameremo truffatori perché stimiamo abbastanza il premio Nobel Joseph Stiglitz, il quale ha scritto, senza troppi complimenti, che Alan Greenspan non poteva non sapere, negli anni scorsi, a partire dal 2002, che la politica della Federal Riserve, da lui guidata, avrebbe condotto al baratro.

Come definire un signore dall'immenso potere, come Greenspan, che trascina il mondo intero verso un disastro, sapendo perfettamente quello che fa? Un truffatore, certamente. Ma anche un irresponsabile. E, quindi, seconda domanda: come possiamo stare tranquilli venendo a sapere che alla testa di cruciali istituzioni di influenza planetaria ci sono persone irresponsabili?

Anche perché non è che Alan Greenspan agisse da solo. Con lui c'era il presidente degli Stati Uniti, per esempio. E via scendendo per li rami di questa foresta imperscrutabile che è oggi la finanza mondiale.



L'allarme rosso è venuto quando si è scoperto che una delle maggiori banche europee, BNP Paribas (che è ora anche molto presente sul mercato italiano) ha dovuto chiudere, per palese insolvenza, ben tre “fondi” che avevano speculato, anche loro, insieme alle banche americane, sui mutui ultra-agevolati che sono stati concessi ai risparmiatori americani. Tanto agevolati che, quando il denaro ha cominciato a diventare caro anche in America, hanno smesso di pagare le rate dei loro mutui, cioè hanno fatto andare in tilt tutti i “fondi” che avevano rastrellato immense ricchezze, costruendo una bolla speculativa talmente gigantesca che aveva tirato praticamente tutta l'economia americana in questi ultimi sei anni. Se è vero, com'è vero, che i due terzi degli aumenti occupazionali, per esempio, erano dovuti a questa bolla, e altrettanto si può dire degl'investimenti. E poi ci dicevano, tutti i commentatori sempre molto ottimisti, che “i fondamentali” erano buoni, per cui si poteva stare tranquilli: ci sarebbe stato un “atterraggio morbido”.

In effetti l'atterraggio non è stato molto morbido. Anzi, per essere più precisi, al momento in cui scrivo queste righe parlare di atterraggio è ancora prematuro: infatti siamo ancora in volo e non si sa su quale aeroporto atterreremo, sempre che atterriamo.

Ma a subire il contraccolpo più duro siamo stati, per ora, noi europei. Oltre alla già citata scelta di Trichet, per evitare il crollo di Paribas e degli altri complici truffatori europei, le Borse europee hanno perduto fino ad ora circa 180 miliardi di euro in valore delle azioni. E non è finita quì

International Herald Tribune scriveva ad agosto, con l'aria di chi, in questi anni, non aveva detto e scritto che tutto andava benissimo, che “non è ancora chiaro” qual è l'entità dell'infezione che ha contagiato l'Europa.

Dobbiamo dunque supporre – anzi è certo - che le banche europee, chi più, chi meno, abbiano fatto come Paribas.

Il che conferma che l'economia dell'Occidente è talmente interconnessa – e americano-dipendente - che nessuno può salvarsi se gli Stati Uniti perdono il lume della ragione. Infatti l'hanno perduto, e non da ieri. Ma noi europei ci comportiamo come dei sudditi vili, dei vassalli che, dopo avere lasciato fare un Imperatore irresponsabile, gli pagano anche i debiti.

Una parte, perché i debiti che gli Stati Uniti (il budget dello stato, le imprese, le famiglie) hanno accumulato non potranno essere pagati da nessuno, nemmeno dagli stessi Stati Uniti. Eppure tutti insieme, con la complicità della finanza europea, sono andati avanti fino al disastro.

Disastro che si ripercuoterà su di noi, ma non su di loro. Anche perchè all'indebitamento americano non c'è una cura. E loro troveranno il modo di distrarci facendo un'altra bella guerra umanitaria e per i diritti umani.

Tutto ciò conferma che gli Stati Uniti d'America sono diventati il bubbone infetto che sta trascinando il mondo intero in un disastro immane.

E da noi chiedono ai pensionati di fare sacrifici, costruiscono “fondi” pensione con i trattamenti di fine rapporto. Fondi che speculano anche loro sul mattone americano che scoppia, mettendo a repentaglio le future pensioni integrative che i poveri disgraziati che stanno per andare in pensione potrebbero non vedere mai più, con l'aria che tira. Ci voleva Eugenio Scalari per richiamare alla memoria il 1929. Ci siamo vicini.

La seconda considerazione nasce da altre cifre sconcertanti. Risulta che, subito dopo l'11 settembre 2001, la Banca Centrale Europea sborsò, allo stesso, nobile scopo, “soltanto” 70 miliardi di euro. Tenendo conto che allora l'euro valeva un 10% in meno, diciamo che il conto che dovemmo pagare fu la metà di quello odierno. Ma dice anche che il crollo odierno è gigantesco, senza precedenti. E se non si è ancora trasformato in una recessione come quella del 1929, è solo perché gli organizzatori della truffa (John Kenneth Galbraith scrisse prima di morire un aureo libretto intitolato “L'economia della truffa” , in cui praticamente svelava tutti i trucchi) hanno fatto quadrato e, usando i nostri soldi e il nostro lavoro, hanno protetto il GCMF (Grande Casino Mondiale della Finanza).

Adesso ci diranno, gli stessi commentatori che reggono la candela, che “i fondamentali” torneranno a essere buoni, che la crescita riprenderà, che la globalizzazione è buona e, soprattutto, non ha alternative.

Ma i pessimisti, come Stiglitz, ci avvertono che l'indebitamento americano continua a crescere, e non pare che ci sia mezzo per fermarlo. E allora – poiché non è ragionevole attendersi che il prossimo presidente degli Stati Uniti spieghi ai suoi cittadini che la situazione in cui vivono non è più sostenibile – la prima cosa da fare, la più urgente, sarebbe quella di prendere le distanze dalle loro illusioni di consumatori compulsavi.

Lo so che non è facile e che siamo tutti interconnessi. Ma qualche cosa l'Europa può fare, esercitando la sua indubbia forza finanziaria, tecnologica e commerciale: per esempio condizionando con decisione le scelte degli Stati Uniti nel Fondo Monetario Internazionale, nell'Organizzazione Mondiale del Commercio, nella Banca Mondiale.

L'alternativa è non solo pagare un livello dei consumi americani che è insostenibile e inaccettabile nelle attuali condizioni del pianeta, ma anche precipitare comunque in una recessione mondiale che è palesemente all'orizzonte.

Anche perché – ed è questo il terzo punto di riflessione – i tassi di crescita economica, che continuano a esserci, ma che si stanno riducendo inesorabilmente, dicono che siamo arrivati, in molti punti, al “limite”. Non ci sarà qualcuno che, nei prossimi dieci (massimo quindici) anni deciderà che è giunto il momento di ridurre la crescita: per la semplice ma drammatica constatazione che sarà la crescita stessa a fermarsi, perché impedita dai limiti “fisici” che l'attuale sviluppo “insostenibile” ha creato.

I nostri leader (o ignoranti o truffatori) continuano a ragionare in termini di economia del denaro. Non capiscono che l'economia del denaro è un'invenzione sociale, che non è soggetta alle leggi fisiche del pianeta. Quasi nessuno tra loro sa (o ha il coraggio di sapere) che questo pianeta si trova in “overshooting ” dall'inizio degli anni '80, cioè da oltre 25 anni. Il che significa che in questi venticinque anni i popoli della terra (e sappiamo che questa espressione è molto falsa, perché è solo una minima parte di quei popoli che ne ha tratto vantaggio) hanno utilizzato le risorse del pianeta, ogni anno, più di quanto quelle risorse siano state rigenerate in quello stesso anno.

I più informati tra questi leader (ivi inclusi i manager delle grandi corporations) ci dicono che tecnologia e mercato risolveranno i problemi. Ma l'una e l'altro non saranno sufficienti. Cioè, come ha scritto Sartori qualche tempo fa, “il mercato non ci salverà”. Perché? Ma perché essi richiedono molto più tempo, per agire, di quello di cui ormai disponiamo. Perché richiedono essi stessi ulteriori flussi di energia e di materiali, ed entrambi sono ormai scarseggianti. Perché tutto ciò può essere travolto dalla ulteriore crescita della popolazione mondiale e dalla crescita esponenziale che, pur riducendosi, continua.

Poi, a proposito delle speranze nella tecnologia, nessuno dovrebbe dimenticare che, per scongiurare i limiti che ormai stanno agendo potentemente sulla nostra vita, ci vorrebbero investimenti “immediati” cinque, otto volte superiori a quelli attuali nella ricerca scientifica e tecnologica. Valga per tutti l'esempio delle energie alternative.

Infine, last but not least , non abbiamo un'architettura internazionale in grado di prendere queste decisioni di dimensione globale. Le classi politiche arriveranno a capire quello che ci sta arrivando addosso nel prossimi quindici anni: cioè quando ci sarà arrivato addosso.

Catastrofe inevitabile, dunque? Già mi pare di vedere molti lettori storcere il naso: ma questo è catastrofismo! Non c'è via d'uscita? Dateci una speranza!

La risposta la danno – e a loro mi sono riferito abbondantemente in queste ultime righe – gli autori di “Limits to Growth” (I limiti dello sviluppo), l'aggiornamento, trent'anni dopo, con un'imponente serie di dati statistici e con le moderne capacità di calcolo, sei miliardi di volte superiori a quelle di allora, degli scenari del 1972, elaborati dal Club di Roma: “una crescita esponenziale non può procedere molto a lungo in un qualsiasi spazio finito con risorse finite”. E' proprio il nostro caso. La notizia del giorno è che quel “molto a lungo” è quasi terminato. E' dunque tempo di cambiare, adesso, senza perdere tempo. Questo vale per tutti.

Giulietto Chiesa
Da: www.megachip.info

L'inizio della fine monetaria mondiale

Ecco che cosa sono la FED e la BCE: chiacchere e distintivo. Innanzi al più grande bubbone finanziario degli ultimi anni che sta ormai per esplodere, se ne escono con affermazioni del tipo, state tranquilli, non vi preoccupate tanto l'economia è sana, l'Europa non rischia nulla !
Più grande è la bugia, più la gente la crederà. Le recenti iniezioni di liquidità (ben quattro interventi in sette giorni) per sostenere le attività bancarie, ormai in pieno default finanziario causate da uno stato di insolvenza generalizzato (solo nella mia provincia vi è una nota banca di modeste dimensioni che ha qualcosa come 1.500 contratti di mutuo di ultima generazione in sofferenza). La crisi che ha colpito i mercati statunitensi, avrà conseguenze tutt'altro che irrisorie sui mercati europei, che hanno voluto scimmiottare i fratelli d'oltre mare.

Lungi dal gongolare per le disgrazie altrui, ma l'analisi sviluppata ed elaborata in BEST BEFORE e contemplata anche durante il tour di BLEKGEK ha trovato in questi giorni una loro evangelica materializzazione: alla faccia di tutti quei cosidetti economisti laureati in prestigiose università fabbriche di cloni replicanti che davano il ricorso al debito a bassi tassi di interesse come la linfa della globalizzazione.

In ogni caso, alla fine Camelot è crollata: il castello di debiti costruito su fondamenta di altri debiti cartacei (coperti a loro volto da un fiume di strumenti derivati: l'altra bolla che dovrà scoppiare) ha dimostrato tutta la sua fragilità. Ecco che cosa ha sostenuto l'economia, il PIL, gli indici di borsa ed il rally immobiliare: il ricorso al debito sfrenato. Tutto a tutti, anche senza garanzie o per dirla all'americana, tutto a tutti grazie ai NINA (acronimo di none income, none assets) ovvero prestiti rilasciati anche a chi non ha reddito certo e non dispone di garanzie reali (fate attenzione comunque perchè anche in Italia li abbiamo, solo che si chiamano con un altro nome, di solito il nome delle finanziarie che li erogano !).

Particolarmente in Europa in queste ultime ore stanno tentando di rincuorare gli animi e le speranze di investitori e risparmiatori, affermando che la situazione in Eurolandia non è così grave come in USA: è vero non è grave, è gravissima ! Nonostante vi dicano il contrario ! Le differenze sostanziali le possiamo anche individuare sulle diverse dinamiche di escussione del sistema giudiziario anglosassone rispetto a quello europeo, qualche mese in USA contro qualche anno in Europa, in Italia addirittura anche cinque ! Questo significa che una banca italiana che ha prestato ad una coppia di giovani precarizzati il 100 % per l'aquisto di un miserabile appartamento da 40 mq può aspettare anche 5 anni prima di riavere la disponibilità finanziaria che ha prestato.

Non da meno si aggiunga che in Europa il ricorso all'acquisto di immobili con finanziamento integrale è stato adeguatamente coperto e suggellato da perizie immobiliari stragonfiate (che consentissero di rendere congruo il possibile valore di ipotetico realizzo in caso di escussione). Purtroppo i debiti si pagano e si estinguono solo con il denaro (denaro che ora sembra non esserci più), ed è per questo che ci aspetta uno scenario veramente senza precedenti: una bolla economica che avrà dinamiche tutt'altro che prevedibili. Rammentate a tal punto che le azioni le vendete in tre minuti con una telefonata alla banca o con un click di mouse, mentre una abitazione o un appartamento (ammesso che trovate in questo momento il compratore) potrebbe richiedere anche alcuni mesi.

Per tale considerazione questa volta ad essere profondamente esposte oltre ai mutuatari ed investitori ci sono anche le stesse banche, i cui patrimoni in questi ultimi quattro anni si sono sempre più spesso cristallizzati: basta molto poco adesso per compromettere la loro solidità. E se il sistema bancario vacilla, quello industriale (stretto ad esso da un cordone ombelicale) e tutt'altro che rincuorante. Non penso che ci siano molte soluzioni: semplicemente stiamo andando incontro all'implosione del sistema turbocapitalistico in cui il solo ricorso al debito ha consentito il sostentamento dei consumi. Per questo motivo il sistema non è sano, quanto stramaledettamente marcio ed allo stadio terminale: un conto è spendere perchè si è risparmiato negli anni precedenti, un altra cosa è continuare a consumare ed acquistare beni di consumo perchè qualcuno presta il denaro facilmente.

La storia si ripete: voglio ricordarvi che Giovedì 24 Ottobre 1929, cinque giorni prima del famoso Martedì Nero, in seguito alle prime ravvisaglie di panic selling sui listini, intervennero tre banche nazionali per sostenere le quotazioni e limitare l’emorragia di vendite: la National Bank, la Chase Manhattan e la Banca Morgan. Il giorno successivo, Venerdì 25 ottobre, molti banchieri di prestigio si affrettarono ad effettuare dichiarazioni ancora rassicuranti circa lo stato di buona salute dell'economia, persino il famoso Charles Schawb (fondatore della omonima casa di brokeraggio) e lo stesso presidente Hoover affermavano che la situazione era sostanzialmente sana ed i fondamentali economici dell’industria americana proiettavano una vigorosa e stabile prosperità per il futuro. Sappiamo tutti comè andata a finire tre giorni dopo: un crollo drammatico delle quotazioni, la giornata di negoziazione più catastrofica, sino ad allora, della storia di Wall Street: il famoso Martedì Nero del 29 Ottobre 1929.

Fateci caso che la storia si sta ripetendo ! Istituzioni e banche centrali che garantiscono che il peggio è passato e soprattutto che l'Europa più di tanto non subirà le conseguenze della crisi di liquidità del sistema bancario statunitense. Peccato però che i fatti contraddicano le loro incoraggianti affermazioni: sappiate a tal fine che la BCE ha effettuato interventi di liquidità molto più corposi rispetto alla FED, in buona sostanza ha immesso molto più denaro di quanto ne ha reso disponibile la stessa FED. E come se questo non bastasse assistiamo al teatrino dei mass media che parlano di iniezioni di liquidità da parte delle banche centrali come se fossero un toccasano per il malato moribondo: tutt'altro. Iniettare liquidità non è di certo una manovra salutare a lungo termine, può consentire una momentanea stabilizzazione della crisi in corso, ma successivamente comporta una inevitabile aumento dell'inflazione con contestuale instabilità dei mercati: in buona sostanza si dovranno alzare ancora i tassi di interesse per raffreddare l'intero sistema, magari molto di più di quanto si era precedentemente annunciato. L'ipotesi di un tasso di sconto al 6 % in Eurolandia comincia a farsi sempre più plausibilie.

Ma lasciatemi raccontare in maniera un po più tecnica che cosa sarebbe successo: se a fine gionata un istituto di credito ha avuto un saldo depositi/prelievi negativo, potrà allora acquistare il denaro di cui ha bisogno nel circuito interbancario, dove troverà i fondi messi a disposizione da altre banche che hanno invece avuto un saldo depositi/prelievi positivo. Questo tasso nei giorni scorsi era volato al 4,7 % contro un tasso di sconto ufficiale al 4 %. La BCE è pertanto intervenuta dal lato dell'offerta, per riequilibrare il sistema, garantendo la liquidità necessaria a soddisfare la domanda ed infatti il tasso di mercato si è immediatamente riallineato al 4%. In buona sostanza quindi la BCE ha creato denaro dal nulla e lo ha reso disponibile alle condizioni di mercato ufficiale ad alcune banche in difficoltà, per evitare che altre potessero speculare su una presunta crisi di liquidità.

Possiamo convenire quindi che iniettare liquidità nel sistema significa dare denaro ad una ristretta elite di banche in momentanea difficoltà finanziaria a discapito del resto del mondo in modo tale che non si abbia una percezione immediata di questa operazione. Il tutto è alquanto scandaloso in quanto anzichè creare denaro (dal nulla) per aiutare chi ha contratto un debito per l'aquisto della prima casa (di fatto il debitore con un bisogno sociale primario), si preferisce sostenere e supportare il sistema bancario (quindi il creditore con una finalità puramente speculativa) il quale si trova in difficoltà perché il debitore a fatica riesce a restituire il denaro preso a prestito. A mio modo di vedere, l’unico rischio reale che corre veramente il sistema bancario è quello di una rivoluzione popolare.

Eugenio Benetazzo
Da: Comedonchisciotte.org

domenica 12 agosto 2007

L'Azzardo di Stato

Di Marco Menduni e Ferruccio Sansa
dal Il Secolo XIX

Secondo la relazione della Commissione di Indagine (chiusa il 23 marzo scorso) il fiume di denaro esce dagli apparecchi che, per la legge, dovrebbero essere collegati via modem con il cervellone della Sogei (la Società Generale di Informatica che si occupa di controlli sul pagamento delle imposte): una rete di controllo.

Così dovrebbe essere possibile verificare l’ammontare delle entrate e chiedere il pagamento delle imposte. In teoria. In realtà il business, secondo la Commissione, nasconderebbe una delle più grandi evasioni d’imposta e di sanzioni non pagate della storia della Repubblica. Scrivono gli esperti: «Per il 2006, secondo i dati dei Monopoli, a fronte di un volume di affari (ovvero la “raccolta di gioco”) pari a circa 15,4 miliardi di euro (di cui la quasi totalità derivante da apparecchi con vincite di denaro), vi è stato un gettito fiscale pari a 2 miliardi e 72 milioni di euro con circa 200mila apparecchi attivati».

Tutto a posto? Neanche per idea: «L’effettiva raccolta di gioco sarebbe di molto superiore alla cifra citata. Secondo stime della Finanza (in sostanziale accordo con le testimonianze di vari operatori del settore), la predetta raccolta di gioco ammonterebbe a 43,5 miliardi di euro». Come dire: il trecento per cento della somma “ufficiale”. Possibile? Sì, perché i due terzi delle macchinette non sono collegate alla rete di controllo, assicurano gli investigatori della Finanza, il Gat guidato dal colonnello Umberto Rapetto.

La “montagna” dei videopoker”

L’esempio più clamoroso arriva dalla Sicilia. La legge dice che i videopoker non collegabili alla rete di controllo devono essere chiusi in un magazzino. Bene: nel Comune di Riposto, in provincia di Catania (13.951 abitanti), nei locali di un solo bar di cinquanta metri quadrati sarebbero state depositate, in un solo giorno, 26.858 macchinette. Secondo un’elaborazione della Finanza, accatastate una sull’altra raggiungerebbero l’altezza del vicino Etna.

Il Secolo XIX ha visitato il bar di Riposto e il reportage si può leggere a pagina 2. È logico pensare che gli apparecchi “scollegati” siano stati utilizzati altrove, al di fuori di ogni verifica. Scrive la Commissione: «Dai dati forniti dagli stessi Monopoli emerge un numero esorbitante di apparecchi collocati in magazzino (40 mila) che, in realtà, potrebbero essere in esercizio senza connessione alla rete».

I controlli colabrodo

D’altra parte è difficile pensare che anche le verifiche siano state davvero incisive. Una “perla” di quel che è accaduto affiora dalla prima bozza della relazione, dove si racconta: «Nel corso degli accertamenti è risultato che, tra i funzionari verificatori “tecnici” fosse incaricato un “ingegnere” che risulterebbe essere stato condannato per usurpazione di titolo».

Ma la commissione guidata dal sottosegretario spara a zero su tutta la catena dei controlli. E non basta. Sul “malfunzionamento” del sistema «ha inciso anche la cattiva volontà di qualche concessionario scorretto, che, svolgendo contemporaneamente la funzione di controllore e di controllato, non aveva alcun interesse a collegare le macchine alla rete».

Le critiche ai Monopoli

La relazione della Commissione ripercorre punto per punto il fiume di denaro. Indica tutte le possibili perdite. E usa parole certo non indulgenti nei confronti dell’Agenzia per i Monopoli di Stato. «Nel corso dell’indagine sono sorti alcuni interrogativi su specifici comportamenti tenuti dai Monopoli in particolari occasioni», è riportato nella bozza del documento.

«Essi riguardano sia la fase di avvio delle reti telematiche e in particolare l’esito positivo dei collaudi allora condotti (sulle macchinette, ndr), subito dopo smentiti dall’esperienza applicativa, sia l’accelerato rilascio di nulla-osta di distribuzione per apparecchi nell’imminenza dell’entrata in vigore di una disciplina più stringente, sia infine l’omessa applicazione di sanzioni previste dalla legge e “l’invenzione” di regimi fiscali forfettari. A tali interrogativi i Monopoli dovrebbero essere chiamati a rispondere puntualmente».

Rivela ancora uno dei componenti della Commissione interpellato dal Secolo XIX: «I Monopoli hanno autorizzato persino macchinette apparentemente innocue, giochi di puro intrattenimento, senza scoprire che premendo un pulsante si trasformavano in slot-machine». Ancora: «L’applicazione di forfait ha permesso il dilagare di anomalie, perché la “cifra fissa” è assai più bassa di quella che potrebbe essere rilevata dalle macchine. Così in moltissimi casi sono state dichiarate avarie, guasti, difficoltà di collegamento dei modem solo per poter pagare di meno, con una perdita secca per lo Stato di miliardi di euro».

Critiche, quindi, al vertice dei Monopoli. Ma dalla relazione emergono anche accuse di corruzione nei confronti dei semplici funzionari chiamati a verificare il funzionamento delle macchinette: c’è stata «una retrodatazione delle autorizzazioni... tale anomala procedura avrebbe consentito ad almeno 28 aziende (alcune delle quali oggetto di indagini da parte della magistratura per presunti reati di corruzione nei confronti di dirigenti dei Monopoli) di eludere le disposizioni introdotte» successivamente dalla legge.

Le multe dimenticate

Nel paragrafo “Difetti di sistema riscontrati”, la commissione rincara la dose: «I Monopoli hanno sostanzialmente tollerato che l’impianto predisposto» per regolare il gioco e ottenere il pagamento delle imposte «non entrasse a regime per più di un anno, rinunciando a qualunque forma di sanzionamento che avrebbe dovuto essere attuata». E ancora: perché i Monopoli non hanno preteso il pagamento delle somme dovute? «Con riferimento ai debiti dei concessionari, le azioni poste in essere dai Monopoli per il recupero del credito sono state improntate, per motivazioni che andrebbero approfondite, su soluzioni gestionali (per esempio dilazioni) piuttosto che amministrativo-contrattuali (per esempio applicazione di penali, escussione delle fideiussioni prestate dai concessionari debitori, revoca della concessione), che alla commissione sembrano atti dovuti e obbligatori».

Il caso Atlantis

La relazione della Commissione spende molte parole per uno dei concessionari, la Atlantis World Group of Companies. È il 25 ottobre 2005 quando i Monopoli indirizzano una nota disponendo che «ogni apparecchio dotato di nulla-osta (cioè in regola, ndr) ma non collegato alla rete telematica dovrà obbligatoriamente essere collocato in un magazzino». Ma gli investigatori ipotizzano che proprio qui si siano verificate le più considerevoli anomalie. Proprio come quella del bar di Riposto, dove la Atlantis avrebbe stipato quasi 27 mila apparecchi.

L’inchiesta di Potenza

Ma a chi fa capo davvero Atlantis? Per ricostruirlo i finanzieri hanno utilizzato anche il risultato delle indagini della Procura di Potenza. È la stessa commissione che lo racconta: «Abbiamo tenuto conto dell’indagine avviata dalla magistratura di Potenza (quella, cioè, sul gioco d’azzardo che portò all’arresto del principe Vittorio Emanuele di Savoia, ndr) e degli elementi che questa ha fornito.

E abbiamo stabilito rapporti anche con il magistrato di Roma che ha ereditato per competenza il procedimento di Potenza contenente una lista di possibili imputati comprendenti il dottor Giorgio Tino (direttore dell’Agenzia dei Monopoli, ndr) e la dottoressa Anna Maria Barbarito (dirigente dei Monopoli , ndr)».

Il nome della società - come ha raccontato anche Marco Lillo sull’Espresso in un’inchiesta all’indomani dell’arresto di Vittoro Emanuele - emerge quando Henry Woodcock, pm di Potenza, convoca nel suo ufficio Amedeo Laboccetta, un esponente storico di An a Napoli, amico personale di Gianfranco Fini.

Laboccetta non si occupa, però, soltanto di politica, è anche il rappresentante in Italia di Atlantis, cioè della principale società concessionaria dei Monopoli per il controllo delle slot machine. Così i magistrati nel mare di intercettazioni che passa loro per le mani, ne trovano una in cui - nella primavera 2005 - Laboccetta parla con il segretario particolare di Gianfranco Fini, Francesco Proietti (eletto alla Camera nel 2006).

E il pm di Potenza, nella richiesta di arresto nei confronti di Vittorio Emanuele, accusa Proietti di aver effettuato una sorta di baratto con Giorgio Tino, il direttore dei Monopoli di Stato, proprio il soggetto che avrebbe l’obbligo di vigilare sui giochi d’azzardo. Proietti e i suoi amici di An, secondo la ricostruzione del magistrato, evitano la revoca della concessione per Atlantis World e in cambio sostengono la scelta di Tino al vertice dei Monopoli.

Il dirigente, nominato dall’ex ministro Giulio Tremonti, è stato riconfermato dal centrosinistra nonostante l’indagine di Potenza. Dalle telefonate si comprendono gli interessi in gioco: si parla di milioni di euro che i Monopoli dovrebbero incassare e che mancano all’appello. Atlantis è il leader del mercato, ma è in ritardo con il versamento della quota spettante allo Stato. E il rischio del ritiro della concessione avrebbe prodotto un danno di milioni di euro alla società guidata da Laboccetta, un’impresa con base alle Antille.

Tra i soci di maggior peso ci sarebbe Francesco Corallo, figlio del pregiudicato Gaetano, condannato per associazione a delinquere. «Don Gaetano - ricostruisce Marco Lillo - ha scontato la sua pena, ma negli anni Ottanta fu arrestato per la scalata ai casinò di Campione e Sanremo. In quella indagine emersero i rapporti di don Tano con il boss della mafia catanese Nitto Santapaola. Corallo junior non era indagato e oggi guida un impero che controlla tre casinò alle Antille».

E nell’isola di Saint Marteen, Fini e la moglie vanno in vacanza nel 2004. «Il presidente, come è noto, è amante della pesca subacquea», spiegano negli ambienti di An.

Un tesoro da 98 miliardi

La formula magica ha uno strano nome, Preu, che poi è l’acronimo di prelievo erariale unico. Di fatto, la tassa sui videopoker, che assegna allo Stato il 13,5 del giro d’affari. I Monopoli, spiega la commissione, invece di pretendere il pagamento dell’imposta prevista dalla legge, si accontentano di un forfait. Ma non basta. Per evitare trucchi le norme prevedevano multe salate, salatissime: 50 euro per ogni ora di mancata connessione alla rete Sogei. Le macchinette collegate, però, per molti mesi sono rimaste una piccola minoranza. Gli stessi Monopoli, in un passo della relazione, ammettono: «Nel 2004 c’erano 95.767 macchine autorizzate, ma nessuna collegata alla rete».

E la situazione non si è poi schiodata di molto. Almeno fino alla consegna della relazione della Commissione. Dopo le rivelazioni degli esperti, qualcuno ha finalmente pensato ad affrontare la questione. Gli uomini del Gat hanno provato a calcolare l’ammontare di tutte le sanzioni non riscosse. Poi a queste hanno aggiunto le imposte non pagate. Ne è venuta fuori una cifra talmente enorme che gli stessi finanzieri all’inizio stentavano a crederci: 98 miliardi di euro. Potevano essere nelle tasche degli italiani. Invece sono finite in parte alle concessionarie meno oneste, in parte alla mafia.

Al di sopra della legge

È la solita storia. Da noi appena c'è un'indagine su un politico, immediatamente si apre un'inchiesta sul magistrato che l'ha iniziata. È il nuovo Codice di procedura penale italiano. Che non esiste in nessun altro Paese del mondo, civile o incivile, perché in questo modo è impossibile amministrare la giustizia. È una storia che parte nel 1994 dopo che la magistratura osò, per la prima volta, richiamare anche la classe dirigente a quel rispetto della legge cui tutti siamo tenuti. Questa volta, poiché ci sono di mezzo dei pezzi grossi dei Ds, contro il Gip Forleo si sono mossi il Guardasigilli, il Pg della Cassazione, il Capo dello Stato, i presidenti delle Camere, il presidente del Consiglio e, bipartisan, buona parte della classe politica, la sinistra (con l'eccezione di Di Pietro e Furio Colombo) che deve difendere i suoi, la destra (con l'eccezione di An e Udc) che non può rinnegare un decennio di devastante campagna di delegittimazione della Magistratura in difesa, soprattutto, di Berlusconi.

Dalle confusissime motivazioni con cui Mastella ha richiesto, a fini disciplinari, le due ordinanze con cui la Forleo chiede al Parlamento l'autorizzazione a utilizzare le intercettazioni di D'Alema, Latorre, Fassino, in quanto nei loro confronti sono ipotizzabili dei reati, l'unica cosa che si capisce è che il Guardasigilli accusa il Gip di aver esorbitato dalle sue funzioni perché ha avanzato richieste che i Pm non avevano fatto. Ma chi ha messo nel cervellino di Mastella una sciocchezza del genere? Anche se in genere avviene il contrario, infinite volte è successo che il giudice riformi «in pejus» le richieste della Pubblica accusa. E, nel caso specifico, il Gip è un giudice delle indagini preliminari ed è in suo potere elevare imputazioni a soggetti che i Pm hanno trascurato.

Ancor più grave, se possibile, l'intervento del Capo dello Stato. Nella forma e nella sostanza. Non è suo compito, nemmeno come presidente del Csm, sindacare singoli atti di singoli magistrati. Napolitano, pur non nominandolo, ha richiamato la Forleo «a non inserire in atti processuali valutazioni e riferimenti non pertinenti». Ma se il Gip chiede l'autorizzazione ad utilizzare le intercettazioni è ovvio che debba motivarla ed entrare nel merito. Non si tratta di nessuna «sentenza» anticipata ma solo di un passaggio del processo che sarà poi verificato da altri giudici.

Poi c'è stata la difesa bipartisan di casta e l'aggressione politica alla Forleo e alla Magistratura. Prodi ha manifestato «solidarietà e sostegno» a D'Alema e Fassino. Il Presidente del Consiglio non può manifestare «solidarietà e sostegno» a degli indagati (perché non lo fà allora, in nome della presunzione di innocenza cui si è appellato, per Corona?). Si sono sentite cose inaudite. Il coordinatore di Forza Italia, Sandro Bondi, preannunciando il voto favorevole del suo partito a ripristinare «in toto» l'immunità parlamentare, ha affermato: «Bisogna distinguere sempre fra l'uso politico della giustizia e le indagini di magistrati indipendenti e scrupolosi». E chi è che decide se un magistrato è indipendente? Sandro Bondi? E se ogni volta che viene indagato un politico si accusa il magistrato di «uso politico della giustizia», com'è sempre avvenuto in questi anni, poiché da questo processo alle intenzioni è impossibile difendersi tanto varrebbe dire che gli uomini politici non sono indagabili. Lo stesso vale per l'altro specioso argomento per cui quando un magistrato indaga un politico o un vip è «per farsi pubblicità». Fabrizio Cicchitto, Fi, ha definito i magistrati «mostri incontrollabili» creati dalla sinistra, perché a suo tempo ebbero il torto di indagare il corrottissimo partito cui allora apparteneva, il Psi.

Stiamo retrocedendo a Paese feudale. I nobili non lavoravano, non pagavano le tasse e avevano un diritto diverso da quello del Terzo Stato. Costoro non lavorano, non pagano le tasse su una parte enorme (100 mila euro l'anno) dei loro emolumenti, sono colmi di privilegi e, dopo lo choc del 1992-94, si sono precostituiti, di fatto, l'immunità penale come nemmeno durante la Prima Repubblica si era osato fare. Per molto meno si sono fatte rivoluzioni.

Massimo Fini
http://www.massimofini.it/

L'oro di Bologna... si fa nero dalla vergogna

Nei lontani anni ’60, i “tormentoni” estivi si chiamavano “Con le pinne il fucile e gli occhiali”, cantata dai Vianella, oppure l’ultima canzone di Battisti: oggi – a testimoniare la decadenza da basso impero che stiamo vivendo – c’è il tormentone dell’oro della Banca d’Italia. Meglio le pinne e i fiori di pesco, credetemi.

Tutto sembrerebbe nascere dalla proposta di Fernando Rossi (uno dei dissidenti sull’Afghanistan) di devolvere ad un piano d’edilizia pubblica il miliardo circa di euro l’anno che si risparmierebbe. Tale risparmio, se si vendesse l’oro di Stato (quanto, poi, tutto da decidere), deriverebbe dai minori interessi che si pagherebbero sul debito pubblico qualora si decidesse di regalare ai banchieri anche l’oro italiano.

Scorrendo alcuni forum sul Web, ho notato che molte persone ancora credono che quell’oro sia il controvalore della moneta circolante: è bene chiarire che l’oro che riposa nelle banche centrali non ha più – per l’Italia – nessun rapporto con la moneta circolante dagli accordi di Bretton Wood, nel 1944.
L’ancoraggio delle valute all’oro è vecchio come il mondo, e durò praticamente fino alla Prima Guerra Mondiale.


L’entità delle devastazioni subite dai belligeranti – la Gran Bretagna, ad opera dei sommergibili e dei corsari tedeschi, perdette qualcosa come 10 milioni[1] di t.s.l[2] . su un totale di 18.716.982 t.s.l. affondate nell’intero conflitto – e, al termine delle ostilità, ci fu un colossale “risarcimento danni di guerra” nei confronti degli Imperi Centrali (soprattutto Germania, e Austria).
A margine, segnaliamo che nel Secondo Conflitto Mondiale le tonnellate mandate a picco furono 32.000.000 circa, poco meno del doppio della Prima: si tratta di circa 6.000 navi! Gli esseri umani, dunque, lavorano come matti per costruire beni, impiegando enormi quantitativi d’energia, per poi dilapidare tutto nelle guerre. Anche l’odierna guerra in Iraq è una voragine energetica.

Tornando al 1919, la flotta inglese era stata letteralmente dissanguata dagli U-boot e, al tavolo di Versailles, i tedeschi consegnarono praticamente il loro oro nelle mani dei loro ex nemici.
La Repubblica di Weimar, nata dalle ceneri dell’impero prussiano/germanico, non aveva oro per garantire una circolazione monetaria su base aurea: ricordiamo che un uovo, in quegli anni, valeva svariati miliardi di marchi.
Per uscire dall’impasse, l’economista Hjalmar Schacht propose di abbandonare il vecchio marco per una nuova moneta, il Rentenmark. La nuova moneta non aveva corrispondenza aurea (non ce n’era!), e fu creata ipotecando le industrie tedesche ed altri beni, ma era una moneta di pura imputazione per il mercato interno, tanto che non poteva essere usata per gli scambi internazionali, che dovevano avvenire in oro o in altre valute.
Il Rentenmark, in ogni modo, riuscì a fermare l’apocalittica inflazione.
Nel 1944, affinché non si ripetessero gli errori del 1919 – ed anche perché gli USA erano diventati i padroni del pianeta non comunista – si trovò, a Bretton Wood, questa soluzione: solo il dollaro rimase “ancorato” all’oro – e poteva quindi esserne richiesto il controvalore in metallo – mentre le altre monete, per essere scambiate nel prezioso metallo, dovevano prima essere convertite in dollari.
La fine del sistema aureo avvenne il giorno di Ferragosto del 1971: siccome il dollaro era convertibile in oro, gli arabi chiesero a Nixon di pagare il petrolio in oro e non in moneta cartacea.
Nei sotterranei di Fort Knox, c’era soltanto la quarta parte dell’oro necessario per garantire la valuta circolante: gli USA, forti del loro predominio sul pianeta, avevano semplicemente fatto girare le rotative che stampavano i dollari 4 volte la velocità che avrebbero dovuto avere per essere sincrone ai depositi aurei! Oggi, non pubblicano nemmeno più i certificati M3, quelli che indicano quanti dollari si stampano.

La conseguenza fu che, il 15 agosto del 1971, Richard Nixon abolì unilateralmente gli accordi di Bretton Wood: da qual giorno, non esiste nessun rapporto fra le monete e l’oro. Il prezioso metallo è sì ancora bene di rifugio, ma come un immobile o un giacimento petrolifero: vale di più d’altri metalli, ma è ridiventato un metallo e basta.
La vicenda dell’oro apre altri scenari, ovvero il dibattito sul signoraggio e su una seria teoria del valore, che oggi – praticamente – non esiste.
Riflettiamo che, se produco una penna e la vendo per un euro, il giorno dopo – la stessa penna prodotta dalla medesima persona – può valere di meno perché l’euro è sceso nei confronti delle altre valute: in pratica, il giorno dopo, io valgo meno del giorno prima! A questo siamo arrivati.
La vicenda dell’oro e delle monete richiederebbe ben altro spazio e più ampie precisazioni: quel che volevo soltanto chiarire, è che l’oro della Banca d’Italia non garantisce l’Euro né altro. E’ oro e basta, come quello che acquistano i gioiellieri.

La decisione di vendere l’oro della Banca d’Italia, quindi, è simile alla dismissione degli immobili delle Forze Armate, oppure di aree demaniali: è un bene pubblico che viene venduto e nient’altro.
Ci sono dei limiti, imposti da un trattato sottoscritto dall’Italia, per non immettere sul mercato più di 500 tonnellate d’oro l’anno: come per qualsiasi bene, si cerca di non inflazionarne il valore con vendite di massa. La speculazione politica interna, sull’argomento, è di bassissima lega: il “portavoce” di Berlusconi – quel guitto di Bonaiuti – ha paragonato Prodi a Capitan Uncino, altri hanno gridato alla svendita della Patria. Il centro destra dimentica che fu proprio lui – nel 2004 – a varare il provvedimento che consentiva la vendita dell’oro: Tremonti ci stava pensando, ma incontrò il “nemico” Fazio sul suo cammino e non se ne fece nulla. Oggi, temono soltanto che siano altri a farlo.

Il vero problema, quindi, è stabilire a cosa servirà pagare un po’ di debito pubblico con quell’oro. Se Rossi propugna la costruzione di case popolari, non dimentichiamo che l’ipotetica decisione sarà presa da un governo. Quello successivo, potrebbe decidere di destinarlo alle missioni di “pace” all’estero. In altre parole, smobilizziamo un bene di rifugio per convertirlo in beni fruibili: ma a chi? E per farne che cosa?
A quanto ammonta questo benedetto oro? Quanto renderebbe venderlo?
Le riserve auree ammontano a 2.451,8 tonnellate per un controvalore di 37,970 miliardi di euro[3]. Insomma, vendendo tutto, in parecchi anni, ricaveremmo 38 miliardi di euro: siamo probabilmente intorno al 2% del debito pubblico. Mi rendo conto che, a questo punto, molti italiani saranno delusi. Tutto qui?
Con il risparmi sugli interessi, potremmo ricavare ogni anno 1 miliardo di euro che ogni governo – passata la novità – inserirebbe in Finanziaria per il consueto balletto delle ripartizioni partitiche.

Non è quindi possibile attuare un piano come quello di Fernando Rossi – pur ammettendo la sua completa buona fede – perché qualche anno dopo – poniamo Berlusconi – li consegnerebbe probabilmente tutti al suo amico Lunardi, per spargere un po’ di cemento qui e là.
L’unica soluzione, che legherebbe le mani ai politici, sarebbe quella d’inserire la destinazione dei risparmi in Costituzione, ma non la vedo come una via molto praticabile.

Quel “tesoro”, che fa inorridire Bonaiuti, non corrisponde nemmeno alla bolletta energetica annua italiana, che per il 2007 è previsto che si attesti intorno ai 45 miliardi di euro[4]: insomma, con tutto l’oro della Banca d’Italia, non riusciamo nemmeno a pagare petrolio, gas, carbone ed elettricità per un anno!

Se, invece, l’Italia varasse finalmente un serio programma per le rinnovabili – eolico in testa, senza trascurare però il piccolo e medio idroelettrico, il risparmio energetico, il fotovoltaico e domani il termodinamico – potremmo raggiungere gli obiettivi che l’UE ci chiede, ossia un 10% in più dell’attuale sulle rinnovabili.
Quanto fa il 10% su 45 miliardi?
Sarebbero 4,5 miliardi di euro che rimarrebbero nelle tasche degli italiani e che non prenderebbero la via dell’estero. Il miliardo dell’oro, a questo punto, semplicemente sparisce. Gli esempi si sprecano: a Varese Ligure, ogni anno – grazie a due soli aerogeneratori – immettono nelle casse comunali 30.000 euro, e i bilanci dei piccoli comuni sono più facilmente controllabili dalla gente. Mica sono i bilanci di ENI ed ENEL: nei comuni, se il bilancio è in attivo, la gente chiede la riduzione o la cancellazione dell’ICI, altrimenti non ti vota più. Sono soltanto sogni di mezza estate? No.

Senza andare troppo lontano, basta che mi sporga dalla finestra: l’antico mulino del mio piccolo paese, non usa più la cascata per far girare le macine; la utilizza, invece, per produrre energia elettrica mediante una turbina e quando deve far ruotare le macine fa uso la corrente di rete.

La turbina produce 30 KW/h continuativi, giacché è alimentata da una roggia che spilla a monte l’acqua: in un giorno, quindi, ricava 720 KW/h, che al prezzo medio di 7 centesimi di euro (calcolando una media sui valori della Borsa Energetica) fanno 50 euro il giorno, 1500 euro il mese. Senza far nulla.
Quante famiglia italiane vedrebbero risolti i loro problemi economici, se potessero contare su un introito mensile extra di 1.500 euro? Quante rogge dimenticate, canali abbandonati che servivano vecchi mulini ci sono in Italia? Migliaia? Decine di migliaia? Quanti italiani conservano, per diritto ereditario, il privilegio di servirsi di quelle acque? Quante potrebbero essere messe a disposizione di chi perde il lavoro?
Se si mettesse mano seriamente al “sistema acqua” italiano, scopriremmo che, un mare d’energia che i nostri nonni traevano dalle semplici macchine ad acqua di pianura e di collina, oggi è abbandonato. Acqua che diventa ricchezza, non l’oro del re Mida.

Già, ma quei soldi finirebbero nelle tasche degli italiani e non nei bilanci di ENI ed ENEL, che hanno il Tesoro come azionista!
Invece, pensiamo di risolvere – come una vecchia famiglia nobile decaduta – i nostri problemi vendendo l’argenteria: questo è il livello del dibattito politico italiano. Mai guardare al futuro, mai cercare soluzioni sensate ed innovative, mai modificare l’esistente. Piuttosto, si vende l’argenteria.
Torniamo ad ascoltare “Con le pinne il fucile e gli occhiali”, che è meglio.

Carlo Bertani
www.carlobertani.it

Che il mutuo sia con te... e con i tuoi figli

Il mercato bancario si adegua all’invecchiamento delle generazioni e dopo i mutui quarantennali e o cinquantenari, lancia il mutuo eterno, con la possibilità dunque di destinare il proprio debito agli eredi. Ubi Banca offre mutui da 50 anni e il Credito Valtellinese consente ai clienti di “girare” l’impegno agli eredi, dando così vita al credito eterno, perché sarà possibile rinnovare più volte un mutuo ventennale, fino a trasferirlo da padre in figlio alle condizioni iniziali: ecco che nasce il mutuo intergenerazionale.

Le motivazioni addotte dai Banchieri dell’introduzione di questo tipo di contratti possono ridursi alla necessità di assicurare alle generazioni del presente la possibilità di accedere a mutui plurimilionari e così il diritto alla casa, oppure alle mutate condizioni del mercato immobiliare o dell’innalzamento del rischio e così del costo dell’accesso al credito. In realtà, è stato creato uno strumento diabolico, che crea l’illusione nel presente di poter contrarre con facilità un mutuo senza tener conto di alcun limite di età , per porre poi in capo alla famiglia e agli eredi futuri il debito contratto della vita precedente. Domani non sarà sufficiente una vita per comprare una cosa o contrarre un mutuo, ma occorrerà vendere la vita delle proprie generazioni alle Banche, che diventerà creditore eterno nei confronti della famiglia.

Chi vuole contrarre un mutuo extralungo si potrebbe inoltre trovare nella situazione di dover costruire la propria garanzia mediante una polizza assicurativa contro eventi temporanei o permanenti : in questo caso può essere la banca stessa a proporre un’ampia gamma di scelta di polizze assicurative Vita e multirischio, opzioni di rinvio delle rate e altri sistemi di dilazioni. In tale trucco delle Banche si nasconde l’ulteriore beffa, oltre il danno, di essere costretto ad accettare un altro contratto di debito che sarà strumentale a pagare il primo debito. Un debito a fronte di un altro debito, che rischia di provocare, proprio in funzione della ricapitalizzazione degli interessi un circolo vizioso di interessi e debiti che non si ferma alla nostra prima vita, ma si protrae negli anni venire in capo alle generazioni. Si tratta di un sistema di usura e di grave violazione dei diritti degli individui, in quanto diventano vittime inermi delle condizioni dettate dal mercato.
In realtà un’apertura in tal senso si è avuta già anni fa, con la Finanziaria del 2005, quando fu introdotta una sorte di deregolamentazione che ha portato all’introduzione del cd. Mutuo vitalizio. Allora, per far fronte al problema della capitalizzazione degli interessi nei mutui ipotecari diretti a persone che hanno più di sessantacinque anni, la Finanziaria ha introdotto la VIA ( valorizzazione immobiliare anticipata ). Alla base del provvedimento vi è la considerazione del fatto che esiste un limite al valore del debito, che non può mai superare il valore dell’immobile, sarà possibile conservare la piena della proprietà da parte del mutuatario, e avere il rimborso anticipato in ogni momento: questa ricchezza creata potrà così essere messa a disposizione delle stesse generazioni future. La VIA dunque si era prefissata di creare questo ponte “di solidarietà intergenerazionale”, preso proprio dal modello inglese. In particolare con il “mutuo vitalizio” della finanziaria del 2005, anche gli anziani al di sopra dei 65 anni possono richiedere un finanziamento ipotecario, che verrà poi rimborsato in un’unica soluzione alla scadenza del contratto o alla loro morte, e fino a quel momento, gli interessati non dovranno pagare nulla alla banca. L’intero debito sarà poi estinto dagli eredi che potranno saldare il debito o, in alternativa, utilizzare l’abitazione per pagare il debito e realizzare la restante parte del valore della casa. E’ nato dunque come un strumento per “monetizzare” il valore della casa degli anziani, in modo da creare così una sorta di sostegno all’età pensionabile, oppure per aiutare i figli per l’acquisto della casa.
In un certo senso, dunque la VIA, ha gettato le basi per quelle norme bancarie che rilanciano sempre più all’aumento degli interessi, e così degli anni del debito, fino ad annullare completamente la capacità di un individuo di estinguere i propri debiti durante la sua vita. Il sistema bancario crea così una sorta di vincolo per le famiglie e le generazioni a venire, imponendo così il ricatto perenne della perdita della propria abitazione. Così mentre prima era possibile lasciare in eredità una casa, un patrimonio, un domani si lascerà un mutuo e un debito da estinguere, pena la perdita di tutto ciò che è stato costruito durante un’intera vita.

Da www.etleboro.com